a cura di Fausta Messa
Dall’Archivio Giulio Spini di Morbegno - SO
La ricchissima raccolta di lettere familiari dell’Archivio Giulio Spini di Morbegno - SO permette lo studio di importanti aspetti della vita sociale, culturale e materiale del mondo contadino, analizzato dalla prospettiva di Campo Tartano, piccolo villaggio di montagna situato a 1049 metri sul livello del mare.
Il pregio di tale raccolta è dato dalla conservazione di lettere e cartoline scambiate tra genitori e figli e tra fratelli in un arco temporale che abbraccia tre generazioni, dall’inizio del Novecento fino al secondo conflitto mondiale.
Le necessità economiche e la contingenza storica incisero anche sugli spazi, non solo sui tempi, come emerge chiaramente da luoghi e date riportati in epigrafe alle lettere: se il capostipite Bonifacio Spini si mosse esclusivamente da Campo ai maggenghi inferiori, seguendo l’antico e ciclico percorso stagionale dei pastori, i figli e poi i nipoti dovettero chi andare all’estero in cerca di lavoro, o forse anche per sfuggire all’obbligo militare, chi sui vari fronti dei due conflitti mondiali.
È la lontananza che spinge all’uso della scrittura contadini che hanno imparato a leggere e a scrivere sui banchi di scuola, frequentati fino alla terza elementare, ma che hanno avuto una formazione morale e civile soprattutto attraverso l’istruzione religiosa e l’educazione familiare.
È commovente leggere come le medesime raccomandazioni, su come comportarsi lontano dalla famiglia, siano le stesse da una generazione all’altra.
L’uso dello stereotipo, soprattutto in apertura e in chiusura, impone una civiltà di modi, una tenerezza di linguaggio, sorprendente nel mondo contadino, soprattutto valtellinese, in cui la comunicazione è essenziale, se non addirittura brusca e sbrigativa, come emerge da tanta letteratura.
Da notare come, a metà degli anni Trenta, incominci a profilarsi uno strappo nella tradizione: cambia l’economia anche nella piccola valle, e ciò richiede nuovi saperi e nuove aperture, affrontate con una certa diffidenza dalla generazione dei padri, con spirito di intraprendenza e determinazione dai figli. Se infatti la tradizione imponeva di rispondere all’incremento demografico con l’emigrazione, ora, attraverso una maggiore istruzione, si cercano soluzioni di sviluppo a livello locale. Ed è così che, attraverso gli studi dei figli, anche i padri si emancipano, costruiscono un pensiero più autonomo, meno stereotipato. Il padre contadino affina sempre più la scrittura, fino ad arrivare all’utilizzo di citazioni di filosofia patristica apprese dal figlio. (si veda li 30-XII- 1941 ore 24. Mio Giulio)
Mentre le lettere del nonno Bonifacio al figlio militare sul fronte della I Guerra mondiale esprimono essenzialmente la preoccupazione che Giuseppino non dimentichi le pratiche religiose, uniche capaci di mantenerlo saldo e coraggioso di fronte a un evento considerato alla stregua di una sciagura naturale, nelle parole che intercorrono tra Giuseppe e il figlio Giulio, venticinque anni dopo, si legge una forte maturazione politica, la consapevolezza di essere soggetti di diritto, non solo di doveri: dal tempo naturale si è entrati nel tempo degli uomini.
Nelle lettere della I Guerra mondiale, mescolate alle giaculatorie e alle preghiere per i cari defunti, compaiono notizie riguardanti il lavoro dei campi, l’allevamento, la salute degli animali da una parte, dall’altra la richiesta di generi alimentari, di vestiario, soprattutto di calze e di scarpe.
Negli scambi epistolari della II Guerra mondiale emerge una dimensione nuova, quella dell’interiorità (espressione di quei sentimenti che nelle generazioni precedenti non potevano essere comunicati, se non nelle formule di avvio e di chiusura), della riflessione teologica, dell’analisi politica.
Identica rimane l’assunzione del ruolo genitoriale, nella naturale rotazione generazionale: guida amorosa e sicura dei figli ai valori condivisi della comunità.
Testo completo (pdf, 46 KB)
con la trascrizione di alcune lettere dell’Archivio Giulio Spini di Morbegno - SO
I documenti