Luigi Credaro
Luigi Credaro nacque a Sondrio, in località Colda, il 15 gennaio 1860.
Primo dei sette figli di Andrea e Maria Baldini, poverissimi contadini valtellinesi (la madre era analfabeta), Luigi Credaro fu l’unico che poté proseguire gli studi, grazie a non comuni doti intellettuali e morali. Conseguita la licenza liceale presso il G. Piazzi di Sondrio (ove ebbe come professore di filosofia A. Martinazzoli, con il quale diresse poi il Dizionario illustrato di pedagogia, 1891-1908, prima opera del genere in Italia), nel 1879 si iscrisse alla Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Pavia, che poté frequentare vincendo, nel 1880, il concorso indetto dal Collegio Ghislieri per posti gratuiti di convittore interno. Fra i suoi docenti all’Ateneo lombardo entrò in rapporti con F. S. De Dominicis e G. Barzellotti e si legò, in particolare, a Carlo Cantoni (1840-1906), caposcuola del “kantismo” italiano, con il quale si laureò in Filosofia il 3 luglio 1883 discutendo una tesi su Alfonso Testa e I Primordî del Kantismo in Italia (che rielaborò e pubblicò, fra il 1886 e l’87, sui “Rendiconti” dell’Accademia dei Lincei, grazie a L. Ferri, che ospitò poi diversi suoi contributi sulla “Rivista italiana di filosofia”).
Nel dicembre 1883 fu nominato reggente di Filosofia al Liceo Nolfi di Fano. Il 24 dicembre 1885 sposò Luigia Elisabetta Paini, maestra, di famiglia benestante di Montagna (Sondrio), il cui contributo fu fondamentale per la sua carriera accademica e politica. Nel settembre 1886 fu trasferito al Liceo di Sondrio.
Nei primi scritti Credaro sembrò recepire acriticamente il pensiero del maestro (Questioni kantiane, in “La filosofia delle scuole italiane” di T. Mamiani e Il kantismo in Italia, nella “Rassegna critica” di A. Angiulli, 1885); ma la progressiva definizione di una lettura antidogmatica ed immanentistica del criticismo lo allontanò irreversibilmente dallo spiritualismo ontologizzante di Cantoni.
Fondamentale, nell’itinerario intellettuale di Credaro, fu il soggiorno di studi a Lipsia (aprile 1887 - febbraio 1888). Vincitore di un posto di perfezionamento all’estero finanziato dalla Fondazione Ghislieri (DM 30 dicembre 1886), nella città e nell’Università tedesca Credaro s’incontrò da un lato con il pensiero di J. F. Herbart e il movimento pedagogico a lui ispirato (assistette alla riunione annuale della Verein für wissenschaftliche Pädagogik - Un’associazione di Herbartiani a Lipsia, 1887 - e seguì le lezioni di L. Strümpell, l’ultimo allievo diretto dell’oldenburghese - Gli scritti e la filosofia di Ludwig Strümpell, 1887); dall’altro con la nuova psicologia di W. Wundt (del quale frequentò, con O. Külpe, il celebre Laboratorio: I corsi filosofici all’Università di Lipsia e il Seminario di psicologia sperimentale del Wundt, 1888).
La pedagogia di Herbart si presentò a Credaro, pur nelle sue interne tensioni, come “luogo” di una possibile composizione delle fondamentali ma conflittuali istanze delineate dal suo “kantismo” (riduzione della conoscenza entro i limiti dell’esperienza e centralità gnoseologica delle scienze empirico-sperimentali, da un lato; primato della Ragion Pratica, riaffermazione della libertà del volere e dell’assolutezza del dovere, dall’altro): ma non nel senso di una “sintesi” concettuale, bensì, anche in rispondenza alla sua forma mentis di homo faber, in quello del superamento di una concezione meramente contemplativa del sapere a favore di una sua più esplicita e diretta traduzione, come strumento operativo, sul terreno della prassi (chiave nella quale va inquadrato, anche, il suo successivo impegno politico). Del resto lo herbartismo di Credaro fu connotato da un predominante interesse “pratico” per le sue declinazioni metodologico-didattiche e per le sue applicazioni negli ordinamenti scolastici e universitari e nella formazione degli insegnanti nei paesi di lingua tedesca (con conseguente costante riferimento a figure come T. Ziller e W. Rein).
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Collocato in aspettativa, nell’aprile 1888 gli fu assegnata, come nuova sede, il Liceo Broggia di Lucera (Foggia); nel settembre, già vincitore di concorso al D’Azeglio di Torino, gli fu conferita la reggenza presso l’Umberto I di Roma; e a novembre, sempre nella Capitale, ottenne l’incarico di Filosofia e Pedagogia nell’Istituto Superiore Femminile di Magistero. Nel 1889, pubblicato il primo volume di Lo scetticismo degli Accademici, vinse il concorso per la cattedra di Storia della Filosofia presso l’Università di Pavia e conseguì lo straordinariato (DM 9 novembre 1889); la stampa della seconda parte dell’opera, nel 1893, coincise con la promozione a ordinario (RD 21 maggio 1893). Lo studio della scepsi accademica si tradusse, oltre che in una pregevole ricostruzione storiografica, in un ulteriore progresso sul piano teorico. La verosimiglianza e il senso comune di Carneade, sulla scia di Herbart e preludendo a un approccio all’evoluzionismo di Spencer, rafforzarono una concezione insieme non metafisica e non relativistica dei valori quali prodotti storico-sociali, di un divenire sorretto, però, da una intima legge di progresso. Nella sua prima prolusione pavese (11 gennaio 1890), Il passato e il presente della storia della filosofia, Credaro ricostruì, per la prima volta nella nostra cultura, la storia della storiografia filosofica. A Pavia tenne anche un Corso libero di Lingua e Letteratura Tedesca (1890-92) e Conferenze di Storia della filosofia (1890-91) e di Didattica generale (1891-1902) presso la Scuola di Magistero.
Nel 1895 C. affiancò all’impegno scientifico quello politico: si candidò alla Camera dei deputati per il partito radicale nel collegio di Tirano (Como) e riuscì a prevalere sul moderato B. Torelli. Fu eletto Deputato, ininterrottamente, sino alla XXIV legislatura; il 6 ottobre 1919 fu nominato Senatore. Il prestigio goduto da Credaro nel suo collegio fu incontrastato; il cattolico moderato A. Mauri, che nel 1909, pur battuto, aveva ottenuto numerosi consensi, nel 1913 fu indotto a ritirarsi dalle stesse autorità vaticane, che mantennero il non expedit nella diocesi lariana. Da parlamentare e da politico locale (fu Presidente del Consiglio provinciale di Sondrio dal 1911 al 1919) Credaro si occupò di questioni centrali per la Valtellina (rimboschimento, pastorizia, questione doganale); promosse la costruzione di strade e scuole; incoraggiò la diffusione di forme organizzative mutualistiche.
Nel giugno 1899 fu eletto al Consiglio comunale di Pavia in una lista unitaria dell’Estrema Sinistra: Assessore alla Pubblica Istruzione (dicembre 1899-luglio 1902), istituì, nel 1900, la refezione scolastica, riscuotendo l’attenzione di “Critica sociale”. Nello stesso anno ebbe eco nazionale anche La libertà accademica, prolusione tenuta da Credaro all’Ateneo di Pavia, nella quale, di fronte alle tendenze illiberali manifestate da diversi governi europei del tempo, difese il diritto dei docenti universitari di professare dottrine anche contrarie all’ordine sociale e politico costituito, purché argomentate con rigore scientifico.
Ancora nel 1900 uscì a Roma La pedagogia di G. F. Herbart: animata da finalità di seria ed elevata divulgazione, l’opera ebbe altre 4 edizioni (1902, 1909, 1915, 1935), più una in lingua tedesca (1913), e fu determinante nella diffusione del sistema educativo dell’oldenburghese nel nostro Paese. Il nuovo orientamento degli interessi scientifici di Credaro, testimoniato anche dai saggi apparsi, nel passaggio di secolo, sia sulla “Rivista filosofica” di Cantoni sia sulla “Rivista di filosofia e scienze affini” di G. Marchesini, ebbe sanzione istituzionale il 27 maggio 1902, allorché il Consiglio della Facoltà di Filosofia e Lettere della “Sapienza” di Roma, approvando un Ordine del giorno proposto da A. Labriola, autorevolmente sostenuto da G. Barzellotti, accolse l’istanza di trasferimento presentata da Credaro e lo chiamò alla cattedra di Pedagogia in sostituzione dello stesso Cassinate, costretto ad abbandonarla per ragioni di salute. Nella prolusione del 15 gennaio 1903, L’insegnamento universitario della pedagogia, l’esposizione più organica della sua “enciclopedia pedagogica”, Credaro sottolineò l’importanza degli studi storico-educativi e affiancò la sociologia alla psicologia e all’etica fra le scienze costitutive della pedagogia teoretica. Fu Preside della Facoltà filosofico-letteraria capitolina dal 1903-04 al 1909-10 (con breve interruzione nel 1905-06), e dal 1918 al 1920.
L’impegno politico di Credaro si concentrò sull’istruzione e sulla scuola. Nel maggio 1900, eletto presidente dell’Associazione della stampa scolastica, fu incaricato di porre le basi per un’organizzazione nazionale dei maestri, su base federativa, tesa ad ottenere il miglioramento delle loro condizioni economiche, giuridiche e professionali. Si giunse così, con il Congresso di Roma del 4-6 aprile 1901, alla fondazione dell’Unione Magistrale Nazionale. Per volontà di Credaro l’UMN si dichiarò apolitica: l’azione rivendicativa dei maestri doveva per lui mantenersi distinta da quella operaia e attenersi ad un assoluto rispetto delle istituzioni. Allorché nel 1904, al suo IV Congresso, a Perugia, l’UMN decise di schierarsi con i partiti democratici, Credaro ne abbandonò la Presidenza.
Nel frattempo, però, aveva contribuito all’attuazione del programma dell’UMN con un’incisiva azione parlamentare. Fu relatore alla Camera sia delle Leggi Nasi del 19 febbraio 1903, nn. 45 e 53, sia della Legge Orlando del 8 luglio 1904, n. 407 (con le quali furono regolamentati la nomina e il licenziamento, fu riformato il monte pensioni, furono incrementate le retribuzioni dei maestri elementari), nonché della ulteriore Legge Orlando del 24 dicembre 1904, n. 689, sul ruolo degli ispettori scolastici, che all’art. 8 istituì il Corso di perfezionamento per i licenziati dalle scuole normali, poi detto Scuola pedagogica e istituito presso tutte le facoltà umanistiche italiane. Credaro, fermo sostenitore del diritto-dovere dei maestri al miglioramento della propria preparazione culturale e professionale, fondò nel 1904 la Scuola Pedagogica di Roma, annettendovi nel 1906 il Museo Pedagogico (erede di quello d’istruzione e di educazione già diretto da A. Labriola e soppresso nel 1891). Vi insegnarono, con Credaro, fra gli altri, G. Sergi, S. De Sanctis, M. Montessori, B. Varisco e G. Gentile, il quale poi, da Ministro, nel 1923 soppresse le Scuole, integrando quelle di Roma, Firenze e Messina negli Istituti Superiori di Magistero.
Credaro ottenne lusinghieri risultati anche come organizzatore di cultura. Convinto della necessità di affiancare alle organizzazioni “economiche” degli insegnanti un sodalizio dalle finalità esclusivamente scientifiche che contribuisse a sprovincializzare il dibattito pedagogico e ad ammodernare la scuola nel nostro Paese, nella primavera del 1907, con il decisivo contributo di G. Tauro, che ne era a capo, favorì la trasformazione per referendum dell’Associazione pedagogico-professionale fra gl’insegnanti delle scuole normali italiane (attiva dal 1888) in Associazione nazionale per gli studi pedagogici. Credaro ne fu eletto presidente (29 giugno 1907) e fondò, come suo organo, la “Rivista pedagogica”. L’Associazione si esaurì con l’età giolittiana; il periodico, invece, le sopravvisse e sotto la guida di Credaro, che lo diresse quasi ininterrottamente dal gennaio 1908 sino alla sua scomparsa, nel febbraio 1939, che segnò la cessazione del foglio, si impose come uno fra i più rappresentativi del settore nel ‘900 italiano.
Sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel 1906, durante il breve gabinetto Sonnino (13 febbraio - 29 maggio), Credaro fu Ministro nel governo Luzzatti e nel IV dicastero Giolitti (31 marzo 1910–19 marzo 1914). Nel programma di Credaro, anticipato nel IV Congresso nazionale radicale (Riforme urgenti della scuola, 1909), la scuola, specie quella elementare, si presentava come fattore decisivo per la trasformazione in senso democratico della società e delle istituzioni politiche italiane. Fautore, nel suo partito, dell’abbandono dell’opposizione pregiudiziale per una linea di collaborazione, su basi programmatiche, con l’esecutivo, Credaro si riconobbe, sostanzialmente, nel progetto di Giolitti teso a far confluire le masse popolari nell’alveo dello Stato liberale, risentendo però anche della sua congenita ambiguità fra istanze sinceramente progressiste e emancipatrici e sottese pressioni conservatrici e di contenimento delle incipienti spinte rivoluzionarie diffuse nei ceti meno abbienti.
Il più noto e rilevante provvedimento varato dal Ministro Credaro fu la legge 4 giugno 1911, n. 487 (firmata anche da E. Daneo, suo predecessore alla Minerva, che ne aveva avviato l’iter parlamentare), che sancì il passaggio della gestione delle scuole elementari dai comuni, eccettuati i capoluoghi di provincia e di circondario, allo Stato, proponendo una mediazione fra centro e periferia imperniata sui Consigli scolastici provinciali, largamente rinnovati e presieduti dai Provveditori, sottratti dalla diretta dipendenza dai Prefetti. Con questo complesso dispositivo (che prevedeva, fra l’altro, l’istituzione obbligatoria, in ogni Comune, del patronato scolastico e misure per lo sviluppo dell’edilizia scolastica), si intese fronteggiare il permanere di alti tassi di analfabetismo in vaste aree della Penisola intervenendo su quella che sembrava costituirne la causa principale, la deficitaria conduzione dell’istruzione primaria da parte della stragrande maggioranza degli enti locali, specie nel meridione (ove a detta della storiografia più accreditata l’applicazione della legge determinò, per la prima volta nella storia unitaria, un incremento dell’alfabetizzazione percentualmente superiore a quello settentrionale). Di rilievo fu, anche, il RD 4 gennaio 1914, n. 27, Istruzioni, programmi e orari per gli asili infantili e i giardini d’infanzia, che segnò il primo organico intervento del Ministero della Pubblica Istruzione nel settore dell’educazione infantile, allora sottoposto alla giurisdizione del dicastero degli Interni. Per la formazione dei maestri, Credaro istituì i Corsi magistrali biennali, a carattere didattico e pedagogico, nei comuni privi di scuole normali e dotati di ginnasio isolato (L. 21 luglio 1911, n. 861); nell’ordine dell’istruzione media, la sua misura più importante fu la creazione dei licei moderni (L. 21 luglio 1911, n. 860). Contribuì all’ampliamento di diverse sedi universitarie e d’istituti superiori: alla “Sapienza” potenziò la Facoltà medica e ripristinò, in quella filosofico-letteraria, la cattedra di Filosofia della storia, dando luogo ad una aspra polemica in Senato con B. Croce (1913). Da rammentare ancora la L. 14 luglio 1912, n. 854, sul riordinamento dell’istruzione professionale, varata in collaborazione col ministero economico (Nitti); i provvedimenti per il lavoro minorile, le biblioteche scolastiche e popolari, le scuole italiane all’estero, i convitti nazionali e l’istruzione femminile, l’educazione fisica, ecc..
Lasciato l’incarico alla Minerva, nel luglio 1917 fu nominato Vice-Presidente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, carica dalla quale fu rimosso da Gentile nel 1923. Neutralista, durante la Grande Guerra si adoperò per l’assistenza ai combattenti e alle loro famiglie; nel 1918, accusato di atteggiamenti anti-patriottici fu costretto a dimettersi dalla Presidenza dell’Associazione Nazionale fra i Professori Universitari. Nominato da Nitti Commissario straordinario, poi Commissario generale civile per la Venezia Tridentina (RD 31 luglio 1919), C. si impegnò in un’opera di normalizzazione e di distensione dei rapporti fra le popolazioni di diversa lingua e cultura presenti nella regione e fra queste e lo Stato italiano, resa ardua dalla diffidenza delle prime, dallo scarso sostegno del secondo, dall’aspra opposizione di clericali e popolari e di nazionalisti e fascisti. Nel 1920, d’accordo con Giolitti, redasse la prefazione di La passione del Tirolo innanzi all’annessione, traduzione dell’opera curata da K. Von Grabmayr, giurista e uomo politico austriaco, per far conoscere e controbattere le tesi pseudoscientifiche con le quali si contestava, nel volume, molto noto all’estero, l’annessione dell’Alto Adige all’Italia: ma fu frainteso e subì violente accuse di anti-italianità. L’anno seguente presentò un disegno di legge sulla istituzione di scuole popolari italiane in regioni alloglotte, che introduceva l’obbligo per i ragazzi italiani o ladini dell’Alto Adige di iscriversi a scuole italiane che fu prima respinto, poi accolto (RD 28 agosto 1921, n. 1627) per evitarne le dimissioni, ma sempre boicottato. Costretto alla fuga da Trento dalle squadre fasciste di A. De Stefani il 3 ottobre 1922, fu ufficialmente sollevato dall’incarico con il RDL 17 ottobre 1922, n. 1353.
Durante gli anni del regime Credaro, mai iscritto al partito fascista, fu progressivamente relegato ai margini della vita politica e culturale; si pronunciò contro la riforma Gentile (La riforma degli studi giudicata dal Senato, 1925) e contro il Concordato (L’insegnamento della filosofia in Italia dopo il Concordato colla S. Sede, 1929). Dedicò le ultime energie all’attività didattica alla “Sapienza”e alla “Rivista pedagogica”: dal 1928-29 diresse la Scuola di perfezionamento in pedagogia e insegnò presso quella in filosofia; si occupò, fra l’altro, della psicoanalisi di Freud nei suoi rapporti con l’educazione (1933). Il 4 giugno 1935, costretto a lasciare la cattedra per raggiunti i limiti di età, tenne l’ultima lezione nella quale ribadì, alla presenza di Gentile, l’autonomia della pedagogia dalla filosofia (L’ultima lezione di Luigi Credaro, 1935).
Morì a Roma il 16 febbraio 1939.
[mada]